Visita Pastorale – Via Crucis

Breve presentazione del testo
La Via Crucis che abbiamo preparato è il frutto dell’impegno di giovani e giovanissimi dell’Azione
Cattolica e Scout.
Una piccola equipe di educatori e capi, incontrandosi, ha pensato e definito la traccia, che poi è stata
arricchita dai contenuti dei giovani dell’unità parrocchiale Fiorenzuola.
Lo struttura prevede cinque stazioni.
Il filo conduttore della Via Crucis è un parallelismo tra le stazioni della Via Crucis e le Beatitudini.
Ci ha guidato sapere che la Via Crucis è la via della Croce mentre le Beatitudini rappresentano la
via buona del cristiano.
Seguendo così questo pensiero, all’inizio di ogni stazione verrà distribuito a tutti i presenti un
foglietto stropicciato, sul quale sono scritte le beatitudini.
Dopo ogni testimonianza, e durante la lettura delle Beatitudini, il foglietto verrà scartato, disteso..
Vorremmo che si riflettesse anche sul concetto di scarto. Oggi il verbo scartare indica qualcosa o
qualcuno da buttare via, ma se si contestualizza il senso del verbo scartare, come ad esempio in
occasione delle feste di compleanno, delle ricorrenze e dello stesso Natale, il significato svela un
dono.
In quest’ultimo senso, ecco che le Beatitudini possono diventare un vero e proprio dono da scartare,
da riconoscere nella nostra vita con una particolare attenzione all’altro.
Dovremmo imparare a scartare le persone cioè a scoprirne i doni

VIA CRUCIS
Ferite rifiorite

Lettore 1: Buonasera a tutti voi. Prima di iniziare al Via crucis vi vogliamo date qualche piccola istruzione per viverla al meglio. Durante ogni canto, che ci accompagnerà alla stazione successiva, vi verrà dato un “foglietto stropicciato”. Vi chiediamo di non buttarlo e di conservarlo per quando vi servirà.

Guida: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Amen

Canto 233: Sono qui a lodarti

I STAZIONE: Gesù sei stato flagellato
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Colore: viola

Dal Vangelo secondo Marco 15, 12 -15
Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Per meditare:
Testimonianza 1
Un dolore può o meno diventare sofferenza. Certi tipi di dolore, ad esempio, non fanno davvero male: pungersi con un ago, prendersi un pugno allo stomaco, oppure ustionarsi rovesciandosi addosso una zuppa. Cose così, da nulla.
E se mio figlio, invece, nascesse disabile? Discriminato, escluso, inadatto per tutta la vita?
E se scoprissi di avere un cancro?
E se, per chissà quale sfortuna, dovessi invecchiare? il mio corpo tramutato, le mie dita raggrinzite, la mia voce rauca, stonata, irriconoscibile?
La sofferenza, rispetto al semplice dolore, ha una connotazione esistenziale. Paragonandola all’amore: a importare, e in questo caso a spaventare, a far patire, è il “per sempre”. Se fa paura pensare a un amore che duri per sempre…come risuona in me la paura che da oggi porterò sulla mia pelle una malattia per sempre?!
Se dolore è la punta di lancia, sofferenza è lutto per quel brandello di carne trafitto, per l’osso che duole, la cicatrice che rimane. Può anche essere lieve come una dermatite, un occhio con qualche grado in meno, un dente storto, oppure bruciante come una colpa eterna, un fuscello di gamba che non cammina.
Ma la sofferenza più infinitamente terribile è di certo la morte. Perché quale “per sempre” è più lungo, più eterno. Quale sofferenza è “mai” più grave di un bambino che si spegne? Di un giovane che si spezza da dentro?

Testimonianza 2
Sofferenza sono le piaghe della flagellazione e le ferite della corona di spine, ma declinata nella nostra società, la sofferenza e il dolore assumono le più varie sfaccettature.
La sofferenza è la solitudine, la mancanza di un punto di riferimento, di una spalla su cui piangere, di un amico con cui ridere; è la mancanza di prospettive, il non avere un futuro o una possibilità di redenzione; è l’impotenza di chi si è giocato tutto e a cui non è rimasto nulla.
Esistono luoghi dove tutto questo è una realtà tangibile e prepotente: le carceri.
Il carcere, che nasce come uno strumento riabilitativo, in realtà rappresenta la condanna ultima di un uomo, che più che rieducare distrugge definitivamente. Se nell’immaginario comune il carcere rappresenta la concretizzazione della giustizia in terra e la corretta applicazione della legge, dall’altra parte credo che siamo tutti in grado di un giudizio meno superficiale e più umano di questo. Credo che non si possa rimanere indifferenti davanti a certe storie di degrado e di ingiustizia sociale e credo che si possa provare compassione di fronte ad un uomo che commette un errore in quanto uomo. Io ho guardato negli occhi un ragazzo di vent’anni sul quale pende una condanna di dieci. Quando uscirà avrà passato un terzo della sua vita in prigione. Lui ha la mia età e presumibilmente voleva dalla vita ciò che io voglio: un po’ di felicità, un po’ di realizzazione personale, un po’ di novità…non avrà niente di questo.
Nei detenuti della comunità della Papa Giovanni XXIII ho visto una profonda sofferenza e una profonda disillusione, ho visto il pentimento e l’arrendevolezza ad un destino crudele da loro stessi voluto, ma pur sempre crudele.

Perché la sofferenza deve fare parte della nostra vita?
Perché Dio ha permesso che nel mondo dovessimo sperimentare anche la condizione della sofferenza, per arrivare a Lui?

Lettore 2: Scartiamo il biglietto che vi abbiamo consegnato
Beatitudini
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

Canto 170: Symbolum 77(Tu sei la mia vita)

II STAZIONE: Gesù sei caduto uno, due, tre volte
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Colore: blu

Salmo 30, 2-4
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato, non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me. Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Per meditare:
Testimonianza
Signore, ascoltando la tua Parola e ricordando le tue cadute, ci siamo sentiti come davanti alle nostre: confusi, sconsolati. Ci chiediamo perché hai scelto di soffrire così, abbandonato dagli amici e deriso da tutti; perché hai sopportato tutte queste torture, Tu che sei invincibile? Perché hai portato la Croce?
Non lo capiremo mai fino in fondo, ma pensiamo che Tu l’abbia fatto perché il tuo amore per noi è infinito, e non può esserci amore senza sacrificio. Ci hai amato così tanto che hai voluto cadere con noi perché potessimo rialzarci con Te, la tua croce e quella che ci affidi servono ad avvicinarci a Te.
Perciò vogliamo fare come i tuoi santi e accogliere le croci che tu ci doni, come quelle che hai affidato a Chiara Corbella Petrillo. A prima vista la sua è la storia drammatica di una mamma che perde due dei suoi bambini appena nati e muore di tumore lasciando solo suo marito e il suo terzo figlio. Sembra una storia simile a tante, ma c’è qualcosa che non torna: tutto è stato vissuto nella gioia ed è diventato vita per altri.
Chiara ha accettato liberamente la sua povertà, la sua dipendenza. Sapere essere di Gesù, di dipendere da lui, le ha permesso di essere ciò che era, di rinunciare a capire, scegliendo di avere parole di benedizione per Dio e chi le stava accanto.
Donarsi è l’unica vera possibilità, ed è proprio ciò che Chiara da un certo punto in poi ha fatto. Ha veramente abbracciato la sua croce, “perché è il bene sommo che dà valore a tutto ciò che esiste”, ed è “pienezza di quella gioia che non svanisce nemmeno quando è bagnata dalle lacrime”. Chiara ha scelto di dire “Sì, passo per passo” perché si è sentita amata.
Questo è l’unico modo per affrontare la sofferenza con il sorriso: scoprirsi amati è il centro di tutta la nostra esistenza e solo riempiti di questo amore totale e folle possiamo crescere ed amare a nostra volta.

Perché noi non riusciamo a sentirci così vicini a Te? Con che muri ci siamo separati da Te? Come possiamo demolirli?

Non nascondiamo che le cadute per noi giovani risultano essere motivo di vergogna e di inadeguatezza. Non ci sentiamo capiti, colti, supportati da chi abbiamo a fianco e riporre la fiducia nel Signore sembra difficile, lontano e poco concreto. Come possiamo sentire, in modo così forte la presenza del Signore da affrontare le difficoltà col sorriso di Chiara?

Scartiamo il biglietto che vi abbiamo consegnato
Beatitudini
Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati

Canto 251: Vieni e seguimi

III STAZIONE: Gesù lungo la strada della crocifissione hai incontrato il Cireneo
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Colore: verde

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 21-22
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio»,

Per meditare:
Testimonianza 1
Alessandro e Federica sono genitori di 4 figli e hanno deciso di allargare la loro famiglia dando vita alla Casa famiglia “cinque pani e 2 pesci” della Papa Giovanni XXIII a Pesaro.
La famiglia vive in un ex monastero ed è al momento formata dai due genitori, i loro 4 figli naturali, Axel un bimbo di 2 anni e mezzo e Jane una signora affetta da problemi psichiatrici.
Come Simone di Cirene si è fatto portatore della croce di Gesù così anche Alessandro e Federica camminano insieme a queste persone, si fanno carico delle loro sofferenze, delle loro difficoltà.
Molti uomini, donne e bambini hanno vissuto con loro e sono stati tutti amati come figli, figlie, sorelle o fratelli nonostante spesso avessero gravi problemi psicologici e comportamentali. La domanda quindi che dovremo porci è: “Saremmo capaci di amare così incondizionatamente tutti coloro che si presentano alla nostra porta e di portare sulle nostre spalle il peso delle loro paure, ansie e sofferenze?”.
La casa 5 pani e 2 pesci ha proprio questo scopo, è una casa mobile perché cambia continuamente, si adatta alle esigenze dei suoi abitanti, forse è questo il vero significato di CASA, un luogo pieno di amore e che si costruisce e si plasma giorno dopo giorno, per accogliere al meglio chiunque la abiti.

Testimonianza 2
A Trieste, passando dalla Piazza della Libertà, questo è quello che abbiamo visto con i nostri occhi: una signora di nome Lorena si occupa della cura dei piedi dei migranti, qualche passo più in là una dottoressa ungherese fa visite mediche su una panchina. Dall’altra parte della piazza si distribuisce una zuppa calda e del pane. Non c’è nessuno che si occupa di loro. Nessuna autorità e ogni sera è così. Chiedendo loro perché fanno tutto questo ogni sera, ci rispondono: “Bisogna pure che qualcuno si occupi di coprire le carenze di questa città?! Questa gente non mangia, se qualcuno non cucina. Ci sono più di 300 persone che hanno diritto all’accoglienza ed invece sono lasciate in quella fogna umana che è il Silos – così chiamano l’ex stazione dei treni in cui dormono illegalmente, essendo rimasti fuori dal hotspot della città. Il fatto è di riuscire a garantire un bicchiere di thè caldo, un piatto di minestra e dire Scusami, perché questa è l’accoglienza che trovi nel mio paese, dove si dice loro che devono integrarsi e che devono imparare. Se questa gente viene qua in modo illegale, è perché non ci sono vie di transito praticabili, non per altro e se lasciano il loro paese è perché probabilmente anche noi, se fossimo in Afghanistan in questo momento, forse cercheremmo di andarcene”.
Questa esperienza ci ha mostrato che abbiamo bisogno di pensare con meno timore ad un mondo senza frontiere, perché le frontiere uccidono e che l’essere umano ha valore in quanto tale. L’esperienza che abbiamo vissuto in collaborazione con “Linea d’Ombra” ci ha messo davanti alla nostra condizione di privilegio e ci ha spinto a mobilitarci in nome della gratuità del servizio. Tra la scuola di italiano e la raccolta di indumenti, tra la distribuzione di cibo, le medicazioni, le chiacchiere e il gioco, abbiamo conosciuto in prima persona una realtà tanto vicina e comunque tanto lontana, potendole dare un volto, un nome e un cognome. A Trieste abbiamo incontrato tanta gente che ci ha dato senza avere, e questo ci ha segnato irresolubilmente spingendoci a riflettere ma soprattutto ad agire.

Siamo capaci di amare incondizionatamente tutti coloro che bussano alla nostra porta e di portare sulle nostre spalle il peso delle loro paure, ansie e sofferenze?

Lettore 2: Scartiamo il biglietto che vi abbiamo consegnato
Beatitudini
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli

Canto 230: Servire è Regnare

IV STAZIONE: Gesù sei stato crocifisso e sei morto per me
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Colore: rosso

Dal Vangelo secondo Marco 15,25-27.33-37
Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Per meditare:
Testimonianza
Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”.
E’ così che si trova Gesù, abbandonato e costretto ad una croce da cui non può liberarsi.
Viene torturato, deriso e disprezzato.
Nessuno crede in lui, nessuno vede in lui il figlio di Dio, nessuno in quel momento riesce a concepire che quel sacrificio, un giorno, avrebbe salvato l’umanità peccatrice.
Ancora oggi a noi giovani capita spesso di percepire il peso di una “croce” che ci frena, che ci impedisce di osare, di rischiare e di vivere a pieno ogni momento. Questa croce che ci “inchioda” è di frequente rappresentata dalla PAURA: paura del giudizio degli altri, paura di non essere abbastanza, di non essere all’altezza, paura di non apparire come gli altri vorrebbero e paura di non rispondere e soddisfare le aspettative sociali già “etichettate”. Paura di sbagliare, di deludere e timore che quell’errore possa diventare un tratto unico ed indelebile della persona.
Paura del futuro, dell’ignoto e di quello che ci spetterà un domani.
Angoscia per l’imprevedibilità degli eventi che devia da ogni schema mentale costruito.
Paura di rimanere sempre fermi allo stesso punto del cammino, ma allo stesso tempo paura di cambiare e di mettersi in discussione abbandonando la comodità dell’abitudine. Tuttavia dietro a queste paure, si nasconde sempre un forte desiderio di felicità.

Ma come poter raggiungere la felicità camminando quotidianamente con il peso sulle spalle di questa “croce” ?

Lettore 2: Scartiamo il biglietto che vi abbiamo consegnato
Beatitudini
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Canto 124: Davanti a questo amore

V STAZIONE: Gesù sei la vita
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Colore: giallo

Dal Vangelo secondo Marco 16, 6-7
«Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

Per meditare:
Testimonianza
“Non abbiate paura!”, dice il Signore, “Egli vi precede in Galilea!”: questo è l’invito che ci viene fatto nel Vangelo, avere il coraggio di andare in Galilea a cercare il Risorto, affidarsi a Colui che con la sua tenerezza asciuga le nostre lacrime.
Gesù ci insegna che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” e che amare è un rischio che vale la pena correre; vuole che noi abbracciamo questo rischio guardandoci intorno e capendo cosa abbiamo di nostro da donare all’altro, riconoscendo a cosa siamo chiamati in questo momento, con i nostri talenti e le nostre fragilità.
Andare in Galilea significa ‘ricominciare’, ripartire da dove tutto è iniziato, nonostante tutti i fallimenti, ed è qui che possiamo imparare lo stupore dell’amore infinito del Signore che traccia sentieri nuovi dentro le strade delle nostre sconfitte.
Egli ci dimostra che è sempre possibile ricostruire dalle macerie del nostro cuore, percorrendo vie nuove in direzione contraria a quella del sepolcro. Ci chiede di affidarci senza presunzione, ma con l’umiltà di chi si lascia sorprendere dalle Sue vie, senza mai perdere la speranza, cercando sempre l’appiglio a cui aggrapparsi e da cui poter ricominciare.
Questo desiderio di amare e donarsi emerge nell’esperienza di Meris Vincenzi (La Meris, per chi l’ha conosciuta), il cui cammino è stato un vero e proprio inno alla vita, ha saputo fare della propria fragilità un punto di forza.
Meris nasce nel ‘55 a Santarcangelo. A 3 anni mostra i primi segni di una malattia e, dopo una diagnosi sbagliata, a 7 anni le viene diagnosticata l’artrite reumatoide. In tarda adolescenza, perde ogni capacità motoria e progressivamente a causa di una cataratta perde anche la vista. Vivrà a Santarcangelo dal ‘70 fino al Gennaio del 2023, quando verrà ricoverata a causa di un malore e morirà un paio di mesi dopo.
L’artrite e la conseguente cecità, che potevano essere la sua sconfitta, sono state delle tappe fondamentali della sua vita. La Meris ha saputo trovare una via nuova, contraria al sepolcro: abbracciando la croce della sofferenza, ha trovato il modo di rinascere, testimoniando che la vita è un dono e deve essere vissuta come tale, senza pretendere o cercare qualcosa di eccezionale nella propria giornata, ma rendendo speciale ogni momento “ordinario”, cercando di andare in profondità, cercando il senso.
Andare al cinema e farsi raccontare tutto il film passo a passo non era debilitante, anzi, concorreva alla crescita dell’amicizia, così come fare passeggiate, partecipare a concerti, andare in parrocchia e alle riunioni pastorali.
La Meris non vedeva la superficialità, ma sapeva andare in profondità nelle questioni, vedendo l’essenziale.
Dicono di lei, che abbia saputo rendere visibile l’invisibile, come se la sua fede potesse essere toccata e la preghiera fosse sempre incontro reale con il Risorto, non solo a parole. L’incontro con La Meris era fonte di speranza per gli amici. Avevano imparato ad affidare le loro fragilità, perché, come lei stessa diceva, “non sono le dimostrazioni di forza a farci crescere ma le mille debolezze”.
Lei amava la vita e la faceva amare: ecco, nonostante tutto ha sempre corso il rischio di amare, senza lasciarsi impaurire, facendo fruttare tutto ciò che di più bello aveva in quel momento.
Ci chiediamo allora, come alimentare questa speranza? Come possiamo mantenerla viva? Come possiamo renderci conto quotidianamente del dono che è la vita? Dio ha fatto dono a La Meris di una grande fede, ma anche di una grande croce, non poteva evitarle quest’ultima? Gesù non poteva evitare la strada della morte dolorosa per risorgere?

Ci chiediamo allora, come alimentare questa speranza? Come possiamo mantenerla viva? Come possiamo renderci conto quotidianamente del dono che è la vita?

Lettore 2: Scartiamo il biglietto che vi abbiamo consegnato
Beatitudini
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli

Intervento del Vescovo
Benedizione finale
Canto 171: Resta accanto a me

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